Dal
2000 al 2011 sono state 46.760 le ordinanze di demolizione, ma solo
4.956 sono state eseguite. Il report presentato a Bari in occasione
della distruzione di un albergo abbandonato.
Doveva
diventare un albergo ed è stato realizzato, ma mai completato, negli
anni ’80, senza che vi fosse alcun titolo edilizio nella zona, peraltro
sottoposta a vincolo paesaggistico. Adesso lo ‘scheletro di Ostuni‘,
l’ecomostro abusivo che sorgeva a picco sulla scogliera di Villanova nel
Brindisino e che da trent’anni aspettava di essere abbattuto, è stato
demolito. Una piccola vittoria nella lotta all’abusivismo edilizio che
si scontra però con il numero crescente di fallimenti. Dal 2000 al 2011
infatti sono state 46.760 le ordinanze di demolizione nei Comuni
capoluogo di provincia d’Italia, ma solo 4.956 sono state eseguite, il
10,6% del totale. Alcune strutture abusive, poi, aspettano la
demolizione da decenni.
A renderlo noto è l’ultimo
dossier di Legambiente dal titolo L’abusivismo edilizio in Puglia:
fotografia di uno scempio, presentato a Bari proprio in occasione della
demolizione del manufatto di Ostuni, che rivela come il rapporto tra
ordinanze di demolizione ed effettive esecuzioni, in Italia, sia
bassissimo, anche quando si tratta di sentenze della magistratura
diventate definitive. E’ una doppia sconfitta quindi se si considera che
l’abusivismo edilizio è un fenomeno in crescita in tutta la penisola,
anche se ha una predilezione per le regioni del sud. Nonostante sia una
realtà difficile da censire, secondo il Cresme, nel 2013, sarebbero
stati costruiti 26mila nuovi immobili illegali, tra ampliamenti
volumetrici e nuove costruzioni. Accanto all’abusivismo dei piccoli
proprietari non va dimenticata la faccia più cupa del fenomeno, quello
della criminalità organizzata, fotografata in parte dal rapporto
Ecomafia 2013, citato dal dossier.
In vetta alla
classifica del rapporto c’è la Campania, seguita subito dopo da Puglia,
Calabria, Sicilia, Lazio e Toscana. In risalita anche Lombardia e
Trentino Alto Adige. I casi di reato accertati dalle forze dell’ordine
nel campo del ‘cemento illegale‘ nel 2012 sono stati 6.310 ai quali si
aggiungono i 2.864 casi di abusivismo edilizio sul demanio marittimo. Un
esempio è il residence Punta Grossa, a Porto Cesareo (Lecce),
sequestrato nel 2011, che dal gennaio del 2013 è al centro di un
processo che vede oltre cento persone imputate, tra imprenditori,
progettisti, ex amministratori locali, funzionari comunali e regionali,
con le accuse di falso, lottizzazione abusiva e violazione delle leggi
tributarie. La società immobiliare, che stava realizzando un villaggio
turistico da 50 milioni di euro, infatti, non aveva ottenuto i permessi
necessari, tra cui le autorizzazioni ambientali, “per un intervento –
sostiene Legambiente – che avrebbe causato profonde trasformazioni delle
aree”.
A fronte di tanto nuovo abusivismo accertato
tuttavia le demolizioni eseguite sono l’eccezione e non la regola. Uno
dei casi più eclatanti di ecomostri condannati ma mai abbattuti, citati
nel dossier, è quello del complesso turistico Pino di Lenne, a
Palagiano, in provincia di Taranto. E’ stato dichiarato abusivo con
sentenza della Corte di Cassazione nel 1989, ma da allora il Comune non è
mai intervenuto e l’immobile continua a essere utilizzato dai
proprietari per feste, pubblicizzate anche in internet. Un altro caso
denunciato da Legambiente è quello di Torre Mileto, in provincia di
Foggia, dove a partire dagli anni ’70, è sorta una cittadella fatta da
migliaia di villini, che stando a quanto riportato dal dossier,
sarebbero “case senza fondamenta, ma a pochi metri dal bagnasciuga. Un
insediamento la cui toponomastica è stata suggerita dalla fantasia e
segnata con il pennarello su cartelli improvvisati, senza rete fognaria e
senza allacci”.
Nel 2009 la Regione Puglia,
nell’ambito del Piano d’intervento di recupero territoriale, ha
approvato una delibera per l’abbattimento di una parte di queste
costruzioni, circa 800, ma a cinque anni di distanza le case sono ancora
tutte lì. A riprova che l’abusivismo edilizio vince due volte. A questo
si aggiungono tutte le pratiche di condono edilizio perse nel nulla.
Prendendo in considerazione sia l’ultimo condono, quello del 2003, sia
quelli del 1994 e del 1985, si nota che sono state depositate oltre due
milioni di domande di sanatoria, di cui ammesse poco più di un milione,
respinte circa 27 mila e le restanti, precisamente 844.097 sono in
attesa di valutazione, molte da ben due decenni. Immobili classificati
come ‘sanabili’ che quindi continuano ad essere affittati, o addirittura
venduti, quando dovrebbero essere demoliti.
“L’abusivismo
edilizio spiega Laura Biffi, Osservatorio Nazionale Ambientale e
legalità di Legambiente rappresenta un’autentica piaga nazionale,
prospera indisturbato da decenni e non conosce crisi, nutrendosi di
alibi e giustificazioni. Ogni ipotesi di sanatoria alimenta nuovo
cemento, come è successo con i tre condoni edilizi, quelli del 1985, del
1994 e del 2003. Se, per certi versi, la condanna sociale
dell’abusivismo edilizio ha raggiunto una certa maturità, il ripristino
della legalità attraverso la rimozione del corpo del reato è un
principio che non ha ancora sfondato culturalmente, tanto che quando si
muovono le ruspe, il fronte in difesa dei proprietari degli immobili è
sempre ampio, compatto e, spesso, politicamente trasversale. Eppure,
combattere questa piaga significa, oltre che ristabilire la legge, anche
ripristinare il paesaggio violato, patrimonio unico e inimitabile, che
con le nostre città, i paesaggi e le spiagge liberati dal cemento
selvaggio, devono diventare sinonimo di un turismo di qualità, basato
sulla salvaguardia e sulla valorizzazione dell’ambiente, sulla “grande
bellezza” dell’Italia”.
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